LA CONVENZIONE DI SINGAPORE SULLA MEDIAZIONE: UN’OPPORTUNITA’ SOLO PER IL MONDO DELLE ADR O ANCHE CONTRIBUTO AL SOSTEGNO DELLA CRESCITA ECONOMICA?

Di Maria Beatrice Ricciardi  11 maggio 2020

 

La Convenzione di Singapore sulla Mediazione commerciale consente di attribuire, nei paesi aderenti, efficacia esecutiva agli accordi raggiunti attraverso un procedimento di mediazione avente ad oggetto una controversia internazionale di natura commerciale.

Voluta dall’UNCITRAL (Commissione delle Nazioni Unite per il Diritto Commerciale Internazionale) su proposta, nel 2014, degli USA, è stata aperta alla firma a Singapore il 7 agosto 2019, attualmente vi hanno aderito 52 paesi tra cui USA, Cina, India per citare alcuni dei più importanti, non vi hanno ancora aderito né la UE né singoli paesi appartenenti alla stessa.

Il 12 marzo 2020 il  Qatar è stato il terzo paese a ratificare la Convenzione, dopo Singapore e Fiji.

In base a quanto stabilito dalla Convenzione (Art. 14) il 12 settembre 2020 (cioè 6 mesi dopo il deposito del terzo strumento di ratifica) la Convenzione entrerà in vigore nei confronti di questi primi 3 paesi.

Attualmente, dopo la ratifica da parte dell’Arabia Saudita avvenuta il 5 maggio 2020, sono 4 i paesi ad avere aderito.

La Convenzione entrerà in vigore in ciascun paese firmatario 6 mesi dopo che lo stesso avrà ratificato l’adesione.

Questo il quadro di riferimento.

Quali potrebbero essere le conseguenze della mancata sottoscrizione della Convenzione di Singapore da parte dell’Italia o della UE?

Rischierà di farci arrivare tardi a cogliere le opportunità di uno strumento potenzialmente vantaggioso? Soprattutto ora che la pandemia del Covid19 sta determinando una recessione globale?

Ci domandiamo se il riconoscimento dell’efficacia esecutiva agli accordi raggiunti in mediazione potrebbe essere davvero uno strumento capace di facilitare gli scambi commerciali internazionali e quindi contribuire allo sviluppo economico (Export‐led-Growth)?

Oppure, al contrario, sarà solamente un nuovo strumento alternativo che andrà ad aggiungersi a quelli esistenti e rappresenterà semplicemente un’opportunità di business per gli operatori delle ADR (Alternative Dispute Resolution)?

 

Cerchiamo di analizzare qualche dato  che possa darci qualche indicazione.

Gli strumenti di ADR hanno visto un grande sviluppo a partire dalla seconda metà del secolo scorso soprattutto nei paesi anglosassoni ed in particolare negli Stati Uniti dove, a partire dagli anni ‘60/’70 sono stati introdotti con scopo deflattivo delle dispute davanti ai tribunali.

Gli strumenti maggiormente diffusi sono l’arbitrato, la mediazione e, in misura minore, la conciliazione.

Le caratteristiche proprie della mediazione, ossia i costi contenuti, la flessibilità della procedura e i tempi brevi, anche rispetto all’arbitrato, la salvaguardia dei rapporti commerciali anche grazie alla possibilità del confronto tra le parti, la certezza di poter mantenere sempre il controllo sulla decisione finale hanno fatto sì che negli USA la mediazione abbia superato l’arbitrato e sia divenuto lo strumento principe per risolvere conflitti interni di natura commerciale.

 

L’arbitrato è, invece, pressoché l’unico strumento usato in ambito internazionale.

Ciò probabilmente per due motivi principali o, per meglio dire, grazie ad uno strumento, la Convenzione di New York sull’arbitrato del 1958, che permette di fare fronte al problema (spesso dirimente per gli operatori economici ) della scarsa affidabilità attribuita ai sistemi giudiziari di molti paesi.

La Convenzione sull’arbitrato consente di attribuire, nei paesi aderenti, efficacia esecutiva delle sentenze arbitrali emesse sul territorio di uno stato diverso.

In 60 anni è diventata il punto di riferimento di molte legislazioni sull’arbitrato internazionale.

L’esigenza di definire le controversie di natura commerciale in modo certo e veloce rende l’arbitrato l’unico strumento utilizzabile a livello internazionale capace di rispondere allo scopo.

Non a caso il ricorso all’arbitrato internazionale è cresciuto con lo sviluppo degli scambi commerciali internazionali.

Ciò si è reso molto evidente soprattutto a partire dalla fine degli anni ‘90 quando si è cominciato ad assistere alla crescita delle camere arbitrali dell’Asia orientale, in concomitanza con la forte crescita degli scambi internazionali tra paesi asiatici e paesi occidentali, ed il contestuale e conseguente contenzioso.

La scarsa fiducia riposta sia nell’imparzialità dei tribunali di alcuni paesi (soprattutto quelli con regimi non democratici) sia nell’efficenza dei sistemi giudiziari di altri paesi ancora troppo arretrati hanno portato molti operatori economici a ricercare strumenti alternativi che li cautelassero.

E’ divenuta quindi prassi diffusa l’inserimento nei contartti commerciali di clausole compromissorie che prevedono, solitamente, l’arbitrato, nonostante i costi anche molto elevati che questo comporta.

Questo bisogno ha creato un vero e proprio mercato delle ADR in Asia con una vera e propria competizione commerciale tra le camere arbitrali di paesi diversi a suon di tariffe ed efficenza nell’erogazione di servizi anche in termini di regolamenti.

 

Sembrerebbe quindi che siano gli scambi commerciali a creare oportunità di business per gli operatori delle ADR.

I dati ci mostrano come le 3 principali camere arbitrali asiatiche (Cina, Hong Kong e Singapore) gestiscano ormai circa il 60% dei lodi arbitrali gestiti dalle 11 tra le principali camere arbitrali internazionali

Ciò nonostante perduri la scarsa fiducia di molti operatori stranieri circa l’imparzialità degli arbitri della CIETAC (China international economic and trade arbitration commission) che comunque vengono accettati, anche a causa del peso economico della Cina.

 

Capiamo quindi come si sia cominciato a sentire l’esigenza di uno strumento di ADR che non vincolasse le parti alle decisioni prese da un terzo.

Non a caso proprio i paesi con economie con export molto elevati e culturalmente legati alla mediazione,  (in particolare USA e Cina), nel 2014 hanno spinto per accelerare il percorso per arrivare ad una Convenzione internazionale per la mediazione analoga a quella del 1958 per l’arbitrato.

Si è arrivati così il 7 agosto 2019, attraverso un percorso internazionale politico/culturale iniziato alla fine degli anni ’70 (11ª sessione del 30/5/1978 e 13ª sessione dal 14/7 al 25/7 1980 dell’UNCITRAL-United Nations Commission on International Trade Law), all’apertura della firma della Convenzione.

E’ presumibile ritenere che, a differenza di quello che si pensava anche solo fino a qualche anno fa, l’arbitrato non continuerà ad essere l’unico strumento per dirimere le controversie commerciali internazionali e probabilmente, come già successo negli Stati Uniti, il ricorso alla mediazione supererà il ricorso all’arbitrato.

 

Quindi come abbiamo detto più sopra sembrerebbe che siano gli scambi commerciali a creare oportunità di business per gli operatori delle ADR.

Guardando però altri dati potremmo scoprire che invece potrebbe essere proprio la mediazione, supportata dall’efficacia esecutiva prevista dalla Convenzione di Singapore, a contribuire alla crescita degli scambi commerciali e quindi a favorire lo sviluppo economico.

 

Le economie più sviluppate sono anche quelle che hanno i maggiori interscambi con l’estero e decine e decine di studi lo dimostrano.

Per avere e mantenere un positivo trend di crescita economico è necessario mantenere aperta un’economia, conseguentemente è prioritario che gli stati intervengano con strumenti che   siano di supporto delle attività commerciali internazionali. L’attribuzione dell’efficacia esecutiva agli accordi internazionali raggiunti in mediazione è uno di questi strumenti.

 

Quanto letto più sopra circa le cause del grande utilizzo dell’arbitrato internazionale in Asia ci lascia già facilmente intuire come uno degli elementi importanti a supporto dell’internazionalizzazione di un sistema economico sia un efficiente ed affidabile sistema giudiziario.

La sfiducia verso alcuni sistemi giudiziari, che fa percepire come molto difficile ed incerta la soluzione di un eventuale contenzioso, scoraggia gli operatori economi ad intraprendere attività commerciali in alcuni paesi.

La mediazione quindi, se si creeranno le condizioni per un suo efficace ed efficiente utilizzo a livello internazionale, potrebbe essere un importante strumento di supporto allo sviluppo di rapporti commerciali esteri e, conseguentemente, allo sviluppo economico in generale. É bene, però,  riflettere sul fatto che la mediazione da sola potrebbe non bastare. In casi estremi, in mancanza di un efficiente sistema giudiziario, anche in presenza di clausole compromissorie, le parti che più avrebbero da temere l’esito di un giudizio potrebbero comunque voler far fallire la mediazione.

 

Far funzionare la mediazione è un’opportunità che molti paesi non possono permettersi di perdere.

A supporto di quanto esposto possiamo vedere come gli indicatori del Doing Business della Banca Mondiale negli anni hanno mostrato e continuano a mostrare come la qualità delle prestazioni nel settore legale e della tutela dei diritti sono strettamente legate allo sviluppo economico di un paese, e sono più deboli tra le economie a basso e medio reddito.

Uno degli indicatore presi in considerazione è l’“enforcing contracts”, che indica, sia tempo e costi per la risoluzione di una controversia commerciale attraverso un tribunale di primo grado, sia la qualità dei processi giudiziari.

Tutti i paesi ad alto reddito hanno un buon ranking in questo indicatore.

L’Italia, purtroppo, unico tra i paesi sviluppati, rappresenta un’eccezione alla regola. Nel Doing Business 2020 (relativo al 2019), si trova ancora al 122° posto ma migliorata rispetto alla 158a posizione del 2011.

Uno dei sub indicatori che compongono il  “enforcing contracts” è il “quality of judicial processes index”, in cui si valuta anche il ricorso e l’efficienza degli strumenti ADR.

Ritengo interessante notare che, sempre per il 2019, nella valutazione di questo ultimo elemento l’Italia ha ottenuto il valore massimo, superiore a quello della Gran Bretagna e, sia pure di poco,  superiore anche a quello degli USA mentre è pari a quello della Germania (paese dove il percorso della diffusione della cultura della mediazione è già iniziato da tempo anche attraverso l’insegnamento delle tecniche di mediazione  nelle scuole superiori)

Senza voler sopravvalutare l’effetto della mediazione certamente possiamo immaginare una correlazione tra il miglioramento della posizione dell’Italia tra il  2011 e il 2019 nella classifica della qualità della giustizia civile e l’introduzione, con il suo grande sviluppo, della mediazione a seguito del decreto 28/2010.

Per cui possiamo concludere che non solo la crescita di scambi commerciali può portare un’opportunità di crescita per le camere di mediazione analogamente a ciò che è successo negli ultimi 30 anni per con l’arbitrato in Asia ma è vero anche il viceversa, strumenti che migliorano il funzionamento dei sistemi giudiziari facilitano i rapporti commerciali internazionali. Ad esempio quando nel 2001 la Cina ha aderito alla Organizzazione Mondiale del Commercio si è impegnata a migliorare il proprio sistema giuridico e giudiziario.

Possiamo fare anche un’altra considerazione.

L’arbitrato, mentre ha avuto una forte crescita in Asia per le ragioni che abbiamo detto (forte espansione degli scambi internazionali in un’area dove i sistemi giudiziari non sono ritenuti sempre affidabili) ha avuto una crescita molto contenuta in occidente, a causa degli alti costi e per la maggiore fiducia riposta dagli operatori economici nei sistemi giudiziari.

Per la mediazione invece potremmo aspettarci un forte utilizzo anche in occidente sia per i costi contenuti sia per le caratteristiche intrinseche di questo strumento che in molte situazioni lo rendono preferibile rispetto ad un giudizio.

Sarebbe necessario sottoscrivere al più presto la Convenzione anche se formalmente non è stato chiarito di chi sia la competenza a firmare, se della UE o dei singoli stati membri.

Tutti concordano sugli obiettivi perseguiti dalla Convenzione che, tra l’altro, coincidono con quelli del percorso già intrapreso dall’Unione per favorire la diffusione della mediazione al suo interno:

È interessante riflettere quanto la sottoscrizione, sia da parte dei singoli paesi membri della UE che da parte della stessa UE, dipenda dalla volontà politica, infatti l’art 12 della Convenzione di Singapore prevede la possibilità di adesione da parte di “un’organizzazione regionale di integrazione economica” in aggiunta ai suoi stati membri che siano già firmatari.

E’ singolare notare tra l’altro che la stessa UE nella Risoluzione del 12 settembre 2017 afferma che è necessario adottare ulteriori misure per garantire l’esecutività degli accordi di mediazione esteri in maniera rapida e accessibile.

Non possiamo permetterci che un problema apparentemente solo formale ci privi di un mezzo che potrebbe aiutare non solo a sviluppare “armoniose relazioni economiche”, come indicato nel preambolo della Convenzione, ma anche a sostenere concretamente la crescita economica salvaguardando relazioni commerciali, obiettivo fondamentale soprattutto in caso di eventi straordinari ed imprevedibile, come il covid19, che si teme potranno accadere con una certa frequenza nel prossimo futuro e che rendono necessario rinegoziare condizioni contrattuali o negoziare l’applicazione delle eventuali clausole di forza maggiore, presenti soprattutto nei contratti commerciali internazionali.  Ad esempio l’esperienza pluridecennale in USA ha dimostrato che la mediazione, grazie al confronto puntuale tra le parti che essa permette, è lo strumento migliore per risolvere conflitti generati da carenze, o varianti nei progetti. .

 

Pensando poi all’Italia non possiamo non tenere conto dell’opportunità offerta dalla Convenzione di Singapore agli Organismi di mediazione italiani che come sappiamo operano con regole che ne compromettono la solidità economica.

Avere la concreta opportunità di operare sullo scenario internazionale oltre a permettere una crescita culturale degli operatori permetterebbe, pur passando attraverso una selezione fatta dal mercato, occasioni di guadagno per gli organismi la cui sopravvivenza è fondamentale per un migliore funzionamento della giustizia civile in Italia.